Accanto all’uomo, come buon Samaritano.
Dt 30, 10-14; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37
Mentre prosegue il suo viaggio verso Gerusalemme, Gesù annuncia il compiersi del regno di Dio; tempo di grazia e di riscatto preannunciato secoli addietro dal profeta Ezechiele, in cui Dio «toglierà il vostro cuore ostinato, di pietra, e lo sostituirà con un cuore vero, ubbidiente» (Ez 36, 26). Egli si avvicina alla gente, si fa prossimo a ciascuno e dona loro il vangelo del perdono: la salvezza è vicina. La Parola di Dio vivifica l’uomo in tutta la sua concretezza; essa infatti, necessita di esser accolta e messa in pratica, ma come?
Il maestro della legge domanda: «Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10, 25). «Questo è il comandamento più grande: Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Il secondo comandamento è ugualmente importante: Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22, 37ss). Attraverso queste espressioni desunte da due passi differenti della scrittura, il Signore traccia il più radicale dei suoi comandamenti. È un comandamento d’amore che offre uno sguardo in tutte le direzioni: verso Dio e verso gli uomini, nessuno escluso, nemmeno noi stessi.
Sull’amare Dio con tutto il cuore, il maestro della legge sembra propenso; ma sul concedere spazio al prossimo nutre dei dubbi e mette alla prova Gesù.
Da buon conoscitore della Bibbia – il maestro della legge – sa che nel libro del Levitico è scritto: «Non mantenere odio contro un fratello […] Non vendicatevi contro i vostri connazionali. Ciascuno di voi deve amare il suo prossimo come se stesso» (Le 19, 17s). Commentando questi versi della Bibbia, i maestri della legge insegnavano che il prossimo erano i fratelli e i connazionali. Gli stranieri e gli infedeli non erano tali. Desidera quindi provocare Gesù, costringerlo a schierarsi pubblicamente in maniera differente dagli insegnamenti dei maestri della legge. Gesù tuttavia, rovescia la situazione, afferma che Dio “comanda” di amare tutti, anche gli estranei e i nemici; in questo modo deve vivere e comportarsi chi vuol entrare nel regno di Dio.
Gesù inizia a raccontare la parabola conosciuta come «del buon Samaritano», riferendosi – forse – a un fatto capitato in quei giorni. La strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico era una strada solitaria, tortuosa, incassata tra rocce scoscese e chi la percorreva impiegava solitamente dalle cinque alle sei ore, dovendo guardarsi anche dai ladroni che assaltavano i viandanti derubandoli di tutto. Un uomo – racconta Gesù – era stato derubato, bastonato e alla fine gettato ai margini della strada mezzo morto. Passano un sacerdote e un levita ma non si curano di quell’uomo, probabilmente per paura di contaminarsi.
Ed ecco passare un uomo di Samaria, uno straniero che abitualmente gli ebrei tacciano come nemico. Vede il ferito, si fa prossimo: si interessa di lui, lo aiuta, spende tempo e denaro per farlo curare.
A questo punto Gesù domandò al maestro della legge: «“Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù allora gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”» (Le 10, 36-37).
Con queste parole Gesù invita i cristiani a farsi prossimo presso il debole, andargli incontro, interessarsi delle sue necessità. In una parola: invita i cristiani a distruggere la lontananza. Amare il prossimo non vuol dire “amare i parenti e i connazionali”, ma amare tutti, specialmente quelli che sono in difficoltà e necessitano del nostro aiuto. È la grande realtà che Gesù ci consegna: Dio ci chiama ad essere suoi figli e a vivere come fratelli, qualunque sia il colore della nostra pelle, il luogo dove siamo nati, l’età che abbiamo.
La parabola di oggi non invita solo alla sollecitudine caritatevole, né soltanto a prodigarsi per i bisognosi; piuttosto esorta chi l’ascolta ad accogliere nel proprio cuore l’Amore di Dio e a contemplarlo con gli occhi di chi sa che guardando Cristo sgorga il desiderio di imitarlo.
Giuseppe Gravante