La storia “occasione” di un tempo eterno.
Sap 18, 6-9; Eb 11, 1-2.8-19; Lc 12, 32-48
La Parola di Dio offertaci dalla liturgia odierna – in continuità con quella della scorsa domenica – séguita ad approfondire tematiche come quella della ricchezza, dell’attaccamento ai beni materiali e dell’ansia che spesso attanaglia l’uomo nell’accumulare denaro. La Scrittura non sciorina una semplice e preparata riflessione morale, tantomeno si limita a predicare una sorta di ascesi finalizzata a il distacco dai beni: la proposta di una vita povera invece, è presentata quale via di risurrezione e nuovo percorso per chi spera nel ritorno glorioso di Cristo.
Il libro della Sapienza c’instrada verso la comprensione della bontà del Signore che, dall’eternità, ha avuto per il suo popolo un progetto di salvezza. Il ricordo di ciò che Dio ha compiuto per il suo popolo costituisce già un inno di lode, ma il saper “fare memoria” porta con sé un altro frutto, poiché da quell’atto si rafforza la fede e si vive nell’attesa del Signore, fiduciosi che Dio non mancherà di riversare sui suoi figli l’amore che hanno già potuto conoscere. In questa logica dunque, la storia si apre ad una prospettiva di ordine superiore ed universale: le vicende umane sono “occasioni” di un tempo eterno, in cui ciascuno è inevitabilmente coinvolto. Sta qui il senso del “viaggio sconosciuto” in cui Dio accompagna il popolo facendosi sua guida nella colonna di fuoco: così per i battezzati la vita cristiana è ugualmente “viaggio sconosciuto” in cui la luce del battesimo è conduttrice.
Il Vangelo di Luca presenta due precisi atteggiamenti cristiani, entrambi rilevanti e imprescindibili. Il primo riguarda la scelta della “sequela” di Cristo; è lui il tesoro prezioso da custodire nel proprio cuore. Nell’atto di vendere ciò che si possiede e fare elemosina ai poveri si realizza concretamente la scelta della sequela. La povertà, intesa come distacco da ogni forma di possesso egoistico dei beni materiali, è la prima condizione di libertà, la prima pratica da dover sbrigare per andare incontro al Signore che viene.
Il secondo atteggiamento che suggerisce il Vangelo è quello della “vigilanza” nell’attesa della venuta del regno. Chi si sente pienamente appagato da ciò che possiede, che cosa può ancora sperare? Forse null’altro se non possedere ancora di più! La speranza richiede la capacità di vivere ogni singolo istante come un dono di grazia e di abbandono fiducioso al Padre: soltanto il povero dunque, è capace di sperare.
L’atteggiamento di vigilanza inteso come “prontezza” nei riguardi del progetto salvifico di Dio, si può concretizzare in molti modi; ma c’è una vigilanza che richiama l’attenzione di tutta la Chiesa ed esorta coloro che vivono l’angoscia della morte, lo stato di malattia o di vecchiaia, a non disperare. Per noi cristiani la morte costituisce il crocevia essenziale: l’incontro più importante con Dio. Lo ricordiamo ogni giorno attraverso l’Ave Maria, chiedendo alla nostra Madre: «Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte». Il ricordo costante e sereno di una vita terrena che finisce e il progressivo dirigersi verso Dio, ha molta importanza, perché aiuta a comprendere l’essenziale. «Che importa all’uomo guadagnare anche tutto il mondo – ci ricorda Gesù – se poi perde l’anima sua?» (Mt 16, 26). Tutto ciò offre un profondo senso di responsabilità; Gesù al termine della vita ci domanderà: «Che hai fatto per i tuoi fratelli in difficoltà, affamati di giustizia, privati della loro dignità?» (Mt 25). Ci offre ancora, una pace profonda. Qualunque cosa ci capiti, qualunque dolore faccia sussultare la nostra vita, alzando gli occhi al cielo possiamo avere la certezza di incontrare un Padre misericordioso.
Giuseppe Gravante