Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Le religioni monoteistiche abramitiche si oppongono “ad ogni forma di eutanasia”, così come “al suicidio medicalmente assistito”, perché sono azioni “completamente in contraddizione con il valore della vita umana” e di conseguenza “sbagliate dal punto di vista sia morale sia religioso e dovrebbero essere vietate senza eccezioni”. La società deve assicurarsi “che il desiderio del paziente di non essere un onere dal punto di vista finanziario, non lo induca a scegliere la morte piuttosto che voler ricevere la cura ed il supporto che potrebbero consentirgli di vivere il tempo che gli resta nel conforto e nella tranquillità”.
La posizione delle religioni abramitiche sul fine vita
Sono alcuni dei passaggi della “Dichiarazione congiunta delle religioni monoteistiche abramitiche sulle problematiche del fine vita” sottoscritta in Vaticano. Il testo ha l’obiettivo di “presentare la posizione delle religioni monoteistiche abramitiche rispetto ai valori e alle prassi rilevanti per i malati in fase terminale, a beneficio dei pazienti, dei familiari, degli operatori sanitari e dei responsabili politici aderenti a una di queste religioni”. Ma anche di “migliorare la capacità degli operatori sanitari” nel comprendere, aiutare e confortare “il credente e la sua famiglia nel momento del fine-vita”, nonché “promuovere comprensione reciproca e sinergie tra i differenti approcci tra le tradizioni religiose monoteistiche e l’etica laica in merito alle convinzioni, ai valori, alle prassi rilevanti per il paziente in fase terminale”.
La tecnologia ha allungato la vita, ma spesso con dolori e sofferenza
Nel preambolo si sottolinea che le tematiche riguardanti “le decisioni sul fine-vita” presentano problemi non facili, intensificati da recenti sviluppi, come “i grandi progressi scientifico-tecnologici che rendono possibile il prolungamento della vita in situazioni e modalità finora impensabili”. Purtroppo “la prolungata sopravvivenza è spesso accompagnata da sofferenza e dolore a causa di disfunzioni organiche, mentali ed emotive”. E’ cambiato anche il rapporto medico paziente, non più paternalistico, ma con “maggiore autonomia”. Inoltre le persone “nei paesi sviluppati muoiono in ospedali o cliniche”, “ambienti impersonali e per niente familiari”. Molti pazienti “vengono attaccati a macchinari, circondati da persone indaffarate e poco familiari”, mentre in passato solitamente “morivano a casa, circondate dai loro cari in un ambiente conosciuto e abituale”. C’è poi un “maggiore coinvolgimento di diversi professionisti nel trattamento del paziente in fase terminale” dei media, del sistema giudiziario e dell’opinione pubblica. E infine ci sono sempre memo risorse per portare avanti terapie costose.
Le decisioni sul paziente terminale non mediche ma etiche e religiose
La Dichiarazione sottolinea quindi che “la maggior parte delle decisioni sul paziente in fase terminale non sono di natura medico-scientifica”, ma piuttosto “sociali, etiche, religiose legali e culturali”. E i principi e le prassi delle religioni monoteistiche abramitiche “non sono sempre in linea con gli attuali valori e prassi umanistiche laiche”. Si definisce il paziente in fase terminale come “una persona affetta da male incurabile e irreversibile, in una fase in cui la morte” giungerà probabilmente “nell’arco di pochi mesi, malgrado il miglior sforzo diagnostico e terapeutico”.
Compassione ed empatia verso il morente
Un paragrafo è dedicato all’assistenza a chi sta per morire “quando non è più possibile alcun trattamento” che rappresenta “un modo di aver cura del dono divino della vita” ed “è segno della responsabilità umana e etica” nei confronti di chi è in fin di vita. E’ necessario un approccio olistico che “richiede compassione, empatia e professionalità da parte di ogni persona coinvolta nell’assistenza” al paziente, “particolarmente di quanti hanno la responsabilità del suo benessere psico-sociologico ed emotivo”.
Rifiuto dell’accanimento terapeutico, se la morte è ormai imminente
Si chiarisce quindi che “gli interventi sanitari tramite trattamenti medici e tecnologici sono giustificati solo nei termini del possibile aiuto che essi possono apportare”. Per questo il loro impiego va valutato “per verificare se i trattamenti a sostegno o prolungamento della vita effettivamente raggiungono l’obiettivo e quando invece hanno raggiunto i loro limiti”. Quindi “quando la morte è imminente malgrado i mezzi usati”, è giustificato “prendere la decisione di rifiutare alcuni trattamenti medici che altro non farebbero se non prolungare una vita precaria, gravosa, sofferente”.
Sollievo ed assitenza in preparazione alla morte
Ma anche quando il continuare a cercare di scongiurare la morte sembra ormai “irragionevolmente difficile e oneroso”, è necessario “comunque fare quanto possibile per offrire sollievo, alleviare efficacemente il dolore, dare compagnia e assistenza emotiva e spirituale al paziente e alla sua famiglia in preparazione alla morte”.