In questa prospettiva potrebbe essere «illuminante» una considerazione del beato cardinale Newman, scritta nel contesto del dibattito relativo all’infallibilità papale al tempo del Concilio Ecumenico Vaticano I.
I limiti della infallibilità
«Il Papa – sosteneva il cardinale Newman – parla ex cathedra, cioè infallibilmente quand’egli parla: primo, come maestro universale; secondo, in nome e con l’autorità degli apostoli; terzo, su un punto o materia di fede o di morale; quarto, con l’intenzione di obbligare ogni membro della Chiesa ad accettare e a credere alla sua decisione. Naturalmente – aggiunge – queste condizioni pongono una grande restrizione al campo della sua infallibilità. Per questo Billuart (teologo domenicano, n.d.r.), parlando del Papa scrive: “Quando esprime la propria opinione personale, il Pontefice non è infallibile né in una conversazione, né in una discussione, né quando interpreta la Bibbia o i Padri, né allorché consulta o esprime le sue ragioni su un punto da lui definito, né quando risponde alle lettere né nelle deliberazioni private”».
L’operato del Papa
Come per il ministero di ogni sacerdote, ordinato validamente, l’azione divina della grazia, mediante i sacramenti celebrati in modo valido, «opera infallibilmente nell’anima dei fedeli, anche al di là del grado di santità o di peccato personali del ministro sacro, così nei Romani Pontefici il loro ministero petrino, esercitato nelle condizioni di validità stabilite, opera infallibilmente in ordine alla custodia della retta fede, al di là dello stato di santità o di peccato, di preparazione culturale, di formazione umana e di abilitazione più o meno eccellente all’esercizio pastorale, come si evince dalla storia secolare del papato».
Tuttavia, precisa Finotti, «l’intuito dei fedeli ha sempre ritenuto che non è di secondaria importanza la santità personale dei ministri sacri e in modo speciale quella dei Romani Pontefici. Per questo la Chiesa ha sempre pregato con insistenza e intensità per il Papa».
Il senso di quel “pregate per me”
Il liturgista, proprio nel suo volume “Vaticano II, 50 anni dopo” (ed. Fede&Cultura, 2012), aveva sollevato la questione: «Per questo il Sommo Pontefice, chiunque sia, è la sicura norma prossima della fede, costituito da Dio, e tutti i figli della Chiesa hanno la mirabile grazia di poter trovare in Lui la salda roccia, che è Cristo, in ogni tempo, in ogni frangente e soprattutto nelle tempeste e nelle notti tumultuose del mondo. Ma, come sempre la Chiesa ha fatto, è necessario che una preghiera incessante salga a Dio per Pietro (At 12,5), affinché il suo ministero, non solo sia valido, come non può che essere in un Pontefice legittimo, ma anche quanto più possibile fruttuoso per tutta la Chiesa».
Infatti, conclude Finotti, «come riceviamo con sicura certezza i santi Sacramenti dal ministero autentico dei sacerdoti e tuttavia preghiamo per loro, affinché crescendo in santità, li amministrino alla maniera dei Santi, così tutti i giorni nel divin Sacrificio la Chiesa prega per il Papa, non perché dubiti sul venir meno della validità dei suoi atti autentici, ma perché, sempre più pervaso della santità di nostro Signore Gesù Cristo, come è chiamato nel protocollo – Sua Santità – usato nel rivolgersi a Lui, sia pienamente il Vicario in tutto aderente al Cuore del divin Maestro».
«Credo che il papa Francesco intenda proprio questo, quando insistentemente raccomanda a tutti: “Pregate per me”».