L’omelia di Francesco a Santa Marta: non basta solo recitare il Credo ed essere sicuri nella legge, bisogna saper donare agli altri
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
Papa Francesco chiede ai fedeli se la loro sia una «vita cristiana di cosmetica, di apparenza» oppure una «vita cristiana con la fede operosa nella carità». È quanto ha detto nell’omelia della messa celebrata questa mattina a Santa Marta, come riferisce Radio Vaticana.
La fede, ha spiegato, «non è soltanto recitare il Credo», ma chiede di staccarsi da avidità e cupidigia per saper donare agli altri, specie se poveri. Il Papa ha commentato il Vangelo del giorno – quello del fariseo che si stupisce di Gesù che non compie le abluzioni prescritte prima di mangiare – per ripetere che il Nazareno «condanna» quel tipo di «sicurezza» tutta incentrata nel «compimento della legge».
«Gesù condanna questa spiritualità della cosmetica, apparire buoni, belli, ma la verità di dentro è un’altra cosa! – ha detto Francesco – Gesù condanna le persone di buone maniere ma di cattive abitudini, quelle abitudini che non si vedono ma si fanno di nascosto. Ma l’apparenza è giusta: questa gente alla quale piaceva passeggiare nelle piazze, farsi vedere pregando, ‘truccarsi’ con un po’ di debolezza quando digiunava… Perché il Signore è così? Vedete che sono due gli aggettivi che usa qui, ma collegati: avidità e cattiveria».
Gesù nell’analogo passo del Vangelo di Matteo, li chiamerà «sepolcri imbiancati», calcando su certi atteggiamenti, definiti con durezza come «immondizia, putredine»: «Date piuttosto in elemosina tutto quello che avete dentro».
«L’elemosina – ricorda ancora Francesco – è sempre stata, nella tradizione della Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, una pietra di paragone della giustizia». Anche Paolo, nella Lettura del giorno, discute con i Galati per lo stesso motivo, il loro attaccamento alla legge. E identico è anche l’esito perché, insiste il Papa: «la legge da sola non salva».
«Quello che vale è la fede. Quale fede? Quella che si “rende operosa per mezzo della carità”. Lo stesso discorso di Gesù al fariseo. Una fede che non è soltanto recitare il Credo: tutti noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nella vita eterna…. Tutti crediamo! Ma questa è una fede immobile, non operosa. Quello che vale in Cristo Gesù è l’operosità che viene dalla fede o meglio la fede che si rende operosa nella carità, cioè torna all’elemosina. Elemosina nel senso più ampio della parola: staccarsi dalla dittatura del denaro, dall’idolatria dei soldi. Ogni cupidigia ci allontana da Gesù Cristo».
Francesco ha quindi rievocato nell’omelia un episodio della vita di padre Pedro Arrupe, Preposito generale dei Gesuiti dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Un giorno, una ricca signora lo invita in un luogo per donargli del denaro per le missioni in Giappone, per le quali padre Arrupe stava impegnandosi. La consegna della busta avviene praticamente sulla porta e davanti a giornalisti e fotografi. Padre Arrupe raccontò di aver patito «una grande umiliazione», ma di aver accettato il denaro «per i poveri del Giappone. Quando l’aprì, c’erano dieci dollari». Chiediamoci, conclude Papa Francesco, se la nostra è «una vita cristiana di cosmetica, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità».
«Gesù ci consiglia questo: “Non suonare la tromba”. Il secondo consiglio: “Non dare soltanto quello che avanza”. E ci parla di quella vecchietta che ha dato tutto quello che aveva per vivere. E loda quella donna per aver fatto questo. E lo ha fatto un po’ di nascosto, forse perché si vergognava di non poter dare di più».