Ancora una volta ho scelto di sottoporre alla vostra curiosità una biografia. Questa volta ho volto lo sguardo su di un’altra grande figura del cinema italiano di ben 30 anni prima. Non mi riferisco preminentemente alla carriera professionale ma soprattutto alla vita di questo personaggio ancora nel cuore e nella memoria di molti italiani e della storia stessa del cinema. Essere venuti al mondo nel 1908 non è affatto la stessa cosa che essere nati nel 1934 (Sofia Loren). Aver vissuto in piena età di coscienza – il diritto canonico ci ricorda che a 7 anni il bambino raggiunge coscienza di se stesso e di Dio al punto tale di poter esprimere una scelta religiosa diversa da quella dei genitori – ben due guerre mondiali segna profondamente la personalità di chicchessia.
La storia di Anna Magnani non è meno complessa di quelle di cui ho cercato di rendervi partecipe in questi mesi. La accomuna con gli altri artisti propostivi, una vita famigliare dolorosa, una figura paterna “fantasma”, circondata da un mondo totalmente al femminile con tutte le infinite “sfumature” che queste donne loro malgrado assorbono e gestisti cono, con o senza colpa personale, per sopperire alle carenze di ogni genere pur di mandare avanti la vita.
Anna Magnani nacque nel 1908 da una ragazza madre ed è stata cresciuta dalla adorata nonna e da tutto il resto della famiglia che ancora viveva presso di lei. La sua infanzia per quanto povera è stata un’infanzia piena di affetto. Un affetto tuttavia mai sufficiente perché diverso da quello di una madre che preferì partire dal luogo della sua sofferenza per rifarsi una vita molto lontano dalla famiglia d’origine e della piccola ed innocente Nannarella.
Una realtà diversa da quella di oggi costrinse sua madre ad allontanarsi da quella società nella quale una ragazza madre non avrebbe mai avuto un futuro diverso da quello della vergogna e degli stenti. Giovane con un “avvenire” ancora possibile partì per l’Egitto dove si sposò ed ebbe un’altra figlia. Anna ha sempre sofferto di essere quello che all’epoca veniva definito “figlio della colpa” e soprattutto di non aver avuto il suo affetto e la sua vicinanza come sentiva il diritto di avere.
Questa assenza ha inciso profondamente sulla sua personalità di donna, di sposa e poi di madre.
In un mondo in cui tutto ruotava intorno “al maschile”; la famiglia con “il pater familias”, le guerre “con i soldati” i figli partiti a morire, l’economia che lentamente da agraria si trasformava in industriale ma non riusciva a dare le risposte sociali necessarie a causa della distruzione dilagante dei conflitti mondiali; non c’erano ne spazio ne aspettative particolari per una donna senza risorse ne economiche e ne sociali.
Essere poveri ed essere figli di nessuno e per giunta essere donna equivaleva al più infausto dei destini.
Eppure Anna Magnani con una sofferenza così profondamente incisa nel suo animo fiorì come una gemma preziosa. Come un tesoro sconosciuto agli altri questa sua personalità la rese capace di tutte quelle meravigliose interpretazioni che sono entrate a far parte storia del cinema universalmente conosciuto.
Perché dopo 40 anni si parla ancora di lei, di Anna Magnani? Perché è stata l’attrice simbolo del cinema italiano del dopoguerra, il cinema della ricostruzione e del riscatto. Perché è stata una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di comicità sfrenata e di profonda drammaticità. Ma si parla ancora di lei perché è stata il simbolo della donna italiana e della sua crescita.
Di lei, gli italiani da più di cinquanta anni tengono nella mente, negli occhi, nelle orecchie e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che si portava via il suo Francesco, la caduta terribile sul selciato che metteva la parola fine sul suo più grande personaggio, ma anche la risata ora irridente, ora canzonatoria, ora semplicemente gioiosa. Patì dolori laceranti, accompagnati da gioie sfrenate, da improvvise voglie di giocare (lei la chiamava “la ruzza”) e da un drammatico disincanto che la portava a non rispettare niente e nessuno che non meritasse di essere rispettato.
Anna ha rappresentato e raccontato “l’umanità e la vita” sui palcoscenici e sugli schermi. Portò il nome di sua madre e lo stesso nome trasmise a suo figlio, in una sorta di linea matriarcale. Ed anche per questo può essere considerata un personaggio di transizione, fra la donna subalterna e la donna “essente soggetto di diritto”, fino a divenire l’emblema, il portabandiera della grande rivoluzione femminile, ancora in atto. Ancora in atto visto che oggi come per effetto di un malefico bumerang involutivo ci confrontiamo di nuovo con realtà disumane ed arcaiche come il “femminicidio” e qualcuno è ancora costretto a rilevare fenomeni vergognosi al punto tale di dover scrivere libri come: “Sii bella e stai zitta. Perché l’ Italia di oggi offende le donne.”
Anche se poi questo cinema nascente si nutrirà dei cosiddetti “attori presi dalla strada”, la Magnani del neorealismo rimarrà il simbolo. Anna con il suo volto vero e sofferto, pronto a illuminarsi in una risata liberatoria tanto quanto ad incupirsi nella collera o a disfarsi nel dolore.
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