La Croce: non una “cristalliera per cadaveri”
Is 50, 4-7
Fil 2, 6-11
Lc 22, 14-23,56
«Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22, 15). Con la Domenica delle Palme, hanno inizio le solenni celebrazioni della Settimana Santa; tutta la chiesa, potremo dire, attraverso il memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore, raggiunge il culmen del suo itinerario di fede; vede fiorire l’albero piantato a Natale e fa provviste in una sosta che la rinfranca. L’itinerario penitenziale della quaresima, conduce dunque il cristiano, alla ricapitolazione delle vicende umane di Gesù: la crocifissione e la risurrezione, interpretate alla luce delle Scritture, segnate dal mistero di totale obbedienza al Padre che sarà esplicato con maggior forza nell’Ascensione. Un’esistenza – quella di Gesù – che sembra terminare sul legno della croce, agli occhi dei più una “cristalliera per cadaveri” ma che – diversamente dal pensare umano – è il viatico della glorificazione. La prospettiva teologica con la quale celebrare questa settimana si fa chiara: la crocifissione è la via che porta alla risurrezione.
La liturgia della Parola, in crescendo trova il suo zenit nella proclamazione della Passione del Signore. Nell’arco della sua esistenza terrena, Gesù è stato compartecipe alla sofferenza di uomini concreti: ha guarito ammalati, ha accolto emarginati di ogni tipo. Egli stesso ha conosciuto l’angoscia dell’amicizia infranta dalla morte e della sconfitta dei suoi sforzi per salvare il suo popolo: piange per Lazzaro e su Gerusalemme che lo rifiuta. Di fronte a tutto ciò, Gesù non rimane passivo né accetta di rassegnarsi, ma reagisce operando il bene e guarendo. Una lotta che assume il volto della solidarietà e della liberazione. Ma la scelta di Gesù si tramuta in scandalo: colui che viene a liberare i poveri e i sofferenti fa l’esperienza della sconfitta, del silenzio di Dio, della morte. Nella croce, il momento della massima distanza tra il Padre e il Figlio. Massima distanza del Padre, proprio mentre il figlio gli esprimeva la massima vicinanza: era all’apice dell’obbedienza! Ecco perché quando obbediamo a Dio nelle prove della vita, lui ci sembra distante anche se è allora che gli siamo vicini: è la stessa esperienza della croce.
Al Calvario viene definitivamente cancellata l’immagine di un Dio che interviene miracolosamente nella storia umana per porre fine alle sofferenze. Della morte di Gesù, di questa morte reale, la fede cristiana ne ha fatto il santuario dell’amore di Dio per gli uomini. Comprendiamo allora perché il mistero della croce ci avvicina a Dio in modo totalmente diverso e sorprendente. Esso mette in risalto il suo mistero, che si rende tangibile come l’inconoscibile, che domanda di accettarlo nella sua imprevedibilità, nella sua realtà “scandalosa”: dono fino alla croce!
Giuseppe Gravante